Come io sapevo l'inglese, oltre che da confidente gli servivo da interprete e da segretario. Gli traducevo le lettere che riceveva dall'amante, e rispondevo per lui. A furia di leggere e di scrivere frasi di amore per conto d'altri, finii per attribuirle e adoperarle per conto mio. Quando l'ignota corrispondente mandò il suo ritratto, me ne innamorai addirittura. Ma un bel giorno l'amico mio comperò una grammatica Ollendorf e prese un maestro d'inglese. Allora il mio romanzo finì.
In fondo, ragionavo. Mi avevano insegnato dei comandamenti - per ubbidirli, supponevo. Uno di questi comandamenti diceva: Non desiderare la moglie altrui. Quanto al desiderio - sono giusto - qualche volta io lo avevo; come impedirlo? Non facevo però nulla per tradurlo ad effetto. Non so se un casuista mi avrebbe assolto; ma io mi sentivo in pace con la mia coscienza. Offendere un uomo, perdere una donna, distruggere una famiglia mi parevano dei delitti che niente può scusare. La predestinazione, il colpo di fulmine mi facevano l'effetto di pretesti belli e buoni. Io mi sentivo libero e padrone di me stesso, in amore come nel resto. Quando vedevo molte donne riunite in qualche posto, a teatro, per esempio, od alla passeggiata, io mi domandavo; «Chi ameresti tu fra queste?» - E con una mano sulla coscienza, mi rispondevo: «Tutte, meno le vecchie, le gobbe e le troppo brutte.» Ora, perchè io ne amassi realmente qualcuna, perchè il desiderio vago ed indeterminato si concretasse e fosse conseguito, che cosa occorreva?
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Ollendorf
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