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      La nostra unione era fatta sul piede della pių perfetta eguaglianza. Nessuno di noi faceva una generositā all'altro, accettandolo. Nč io nč lei, finanziariamente, fisicamente, intellettualmente e socialmente, avevamo nulla di straordinario o di superiore. Essendoci conosciuti, ci eravamo convenuti; nient'altro. La mia fidanzata non era nč bella nč brutta, nč ignorante nč dotta, nč umile nč superba: cosė com'era, mi piaceva. Se in vece sua avessi conosciuta un'altra donna, avrei amato probabilmente quell'altra; ma avevo conosciuto lei, e glie lo dicevo.
      Anch'ella mi amava; me lo ripeteva sempre, me lo scriveva continuamente - malgrado ci vedessimo ogni giorno, aveva voluto che ogni giorno ci scrivessimo. Ciō mi faceva piacere. Pensavo: c'č qualcuno che si ricorda sempre di me, che sempre mi aspetta - e questo pensiero mi colmava di tenerezza. Quando la vedevo, pensavo ancora: Č mia.... Per dir meglio: sarebbe stata.... Intanto si preparava il corredo, la casa. Io le lasciavo la direzione di tutto. Tutto ciō che faceva, era ben fatto. Che fosse contenta lei, questo era l'interessante. Alla sottoscrizione del contratto, feci un piccolo colpo di testa: le regalai dei gioielli di qualche valore; data la nostra condizione economica, una pazzia. Che importava, purchč ella fosse contenta? Ella ne fu contentissima; corse a guardarsi allo specchio ornata di quei monili, i suoi occhi sfavillavano di gioia, e non cessava dal prodigarmi ringraziamenti caldissimi. Questi mi parevano superflui; se fossi stato pių ricco, avrei certamente fatto di pių.


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Documenti umani
di Federico De Roberto
Treves Milano
1888 pagine 229