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      Io mi facevo sempre più umile, sempre più paziente, sempre più premuroso; la vita senza di lei mi sarebbe parsa una nera cosa.... Poi, avrei voluto dirle che sapevo il motivo di quella sua irritabilità, di quelle sue provocazioni, che il motivo era il pensiero dell'altro, di cui ella non si era scordata.... ma non lo dicevo, per non soffiare sul fuoco. Ero molto triste, ma nascondevo la mia tristezza; se no, che merito avrei avuto del mio perdono?
      Un giorno, passando nella sua stanza da lavoro, le annunziai: «C'è di là Filippo.» Filippo era il giardiniere; anche quell'altro si chiamava così. Come ella fece un moto repentino e mal represso, io le dissi, tranquillamente, quasi ridendo: «Non è lui, è il giardiniere....» Ella scattò in piedi, mi colmò di rimproveri, andò a chiudersi in camera. Aspettavo impazientemente l'ora del desinare; ero pentito di quel che avevo detto, volevo abbracciarla, domandarle scusa, dirle infine che tutto questo non era ragionevole.... Quando fu l'ora, ella non comparve. Era andata via da sua madre; la mia casa era deserta....
      Quella casa, la nostra casa, come aveva potuto lasciarla? Il colpo fu duro; mi pareva come una morte, come quando la mamma se ne era andata. Poi mi facevo una ragione: se non voleva più stare con me, potevo obbligarvela con la forza?
      Un giorno, ricevetti la visita di sua madre. Mi annunziava che ella aveva presentata domanda di separazione; che allo stato in cui erano le cose era il meglio che si poteva fare. Sta bene, non mi sarei opposto; domandavo soltanto, per curiosità, per quella curiosità che gli ammalati hanno delle cause dei loro mali, che cosa ella aveva da dire contro di me.


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Documenti umani
di Federico De Roberto
Treves Milano
1888 pagine 229

   





Filippo