La chiesa era piccola, moderna, dall'architettura semplicissima, senza nessuna di quelle rarità dell'arte che attirano nelle case della preghiera l'irriverente processione dei curiosi, dei touristes con la guida sotto il braccio e il binocolo a bandoliera. Le pareti, quasi nude, erano d'un candore abbagliante; il pavimento, di marmo, a grandi lastre bianche e nere, aveva una lucentezza di specchio; e nell'ordine rigido, nella severa nudità regnante tutt'intorno, si rivelava uno spirito rifuggente da ogni pompa, sollecito solo della concentrazione interiore e dell'adorazione.
Era padre Ladislao il rettore di San Giorgio, l'officiante di quell'ora mattutina; e la figura del giovane ministro, austera nei semplici paramenti, dalla fronte alta e spaziosa, dagli occhi ceruli, dalla carnagione delicata, dalle mani bianchissime mirabilmente modellate che toccavano leggerissimamente i sacri arredi dell'altare, presentava un'intima, una completa corrispondenza con quell'ambiente severo e luminoso ad un tempo.
San Giorgio era tutto un mondo per il padre Ladislao, l'oggetto delle sue cure più assidue; e per continuare a regger quella chiesa, egli ritardava volontariamente l'avanzamento che lo aspettava da molto tempo nella gerarchia ecclesiastica.
L'anello piscatorio ed il pastorale sarebbero già toccati da tempo a padre Ladislao Mantaldi dei principi di Valdiriva, e qualcuno andava fino a predirgli il rosso cappello cardinalizio. Non erano soltanto le tradizioni della grande famiglia, la sua potenza, le sue relazioni, che gli spianavano così la via ai più alti gradi; era ancora, e più, la vasta intelligenza, la varia cultura, lo zelo illuminato, la modestia esemplare, la purità dei costumi, che facevano di questo gran signore una delle speranze della chiesa napoletana.
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