Io non avevo una gran pratica di queste cose; ma parevami che vi fosse poco da discutere. La qualità delle offese, il modo con cui erano state fatte, quale fosse la più grave, a chi toccasse la scelta delle condizioni, le condizioni stesse: tutto fu soggetto di lunghi dibattimenti. Prevedevo che, con quella specie di contradditore, avrei avuto molto da fare sul terreno. Come Dio volle, si stabilì che lo scontro, alla spada, a discrezione dei dottori, sarebbe avvenuto il domani alle otto del mattino.
«Lasciai, la sera stessa, un biglietto dal portiere del conte, e il domani, alle sette, insieme col barone Narconi, passai da casa sua. Fummo introdotti in una sala di studio e il domestico passò ad annunziarci. Aspettammo, aspettammo: non veniva nessuno. Ci guardavamo l'un l'altro, non sapendo che cosa pensare. Ad un orologio vicino suonarono le sette e un quarto. E non veniva nessuno. È difficile farsi un'idea dell'imbarazzo in cui lo stranissimo caso ci metteva. Bisognava prendere una risoluzione mi avvicinai ad un bottone di campanello elettrico e suonai. Lo stesso domestico riapparve. «Avete annunziata la nostra visita?» - «Immediatamente.» - «Il signor conte è levato?» - «Signor sì.» - «Allora, ripassate a dirgli che non c'è tempo da perdere....» - Dopo qualche minuto, la porta si schiuse, ed il conte apparve. Si avanzò, lentamente, e con un tono di cerimonia, come dinanzi a degli sconosciuti, ci disse: «In che cosa posso servirli?...» Non mi perdo in commenti da darvi un'idea della nostra stupefazione, - più che stupefazione, cominciava ad essere sdegno.
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Dio Narconi
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