I miei favoriti erano Epaminonda e Annibale. Pigliavo tanto interesse per questi fatti e persone storiche, che battagliavo in favore o contro con una passione, con una concitazione di voce, come se di là pendesse la mia vita o la mia morte.
Qualche sera zio era solito di condurci in un caffè nella strada Maddaloni. Si faceva una piccola conversazione. C'era un tal don Pietro Nicodemo, uomo erudito e sollazzevole, e D. Nicola del Buono, un dotto Sacerdote, che insegnava lettere latine e mi veniva zio dal lato materno. Aveva voce di uomo ricco, e stava solo e zio mi diceva: "Perché non cerchi di affezionarti D. Nicola? Egli ti è zio, e potrebbe chiamarti a sé e mantenerti lui". Una sera dunque andammo a quel caffè. E venne il discorso sulla storia romana. Zio aveva fatto molte lodi del mio sapere, e D. Nicola per provarmi mi domandò cosí all'improvviso quale fosse miglior capitano, o Cesare o Annibale. Ed io risposi subito "Annibale", con l'aria sicura di chi non ammette il dubbio. Ed egli raggrinzò il naso grosso e lungo, e disse: "No, Cesare", con l'aria d'un pedagogo che sta per tirarti le orecchie. "Che Cesare!" diss'io incapricciato e non sentivo lo zio che mi toccava i piedi e mi dava le occhiate. Tirato dalla foga, andavo innanzi con voce concitata e con gesti vivaci, come cavallo che ha perso il freno. "Che Cesare! - dicevo io. - Cesare vinse i Galli che erano barbari e ignoranti della guerra, e poi con le sue legioni agguerrite gli fu facile vincere i soldati effemminati di Pompeo.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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