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      Ma Annibale batté i romani ch'erano i primi soldati del mondo, con un esercito raccogliticcio, che condusse attraverso i Pirenei e le Alpi con una marcia che Cesare non avrebbe osato pur di concepire". D. Nicola s'era fatta la faccia tutta fuoco, il naso pareva un peperone ardente, schizzavano gli occhi, mi par di vederlo, e batteva i pugni sul tavolo, e gridava piú di me, perché non voleva parere innanzi a D. Pietro che un fanciullo gli prendesse la mano. D. Pietro infine si pose in mezzo con qualche barzelletta, e poi ci recitò un sonetto sopra Cesare, credo io, che terminava con questo verso:
      Ecco in un pugno il vincitor del mondo.
      Questo sonetto ci parve stupendo, secondo il gusto di quel tempo, che ci tirava al maraviglioso e al grandioso. Quando ci levammo, zio disse a D. Nicola: "Che ti pare di Ciccillo? Come conosce bene la storia!" E D. Nicola rispose: "Sí, ma è una testa dura", e disse questo con una freddezza, che pareva significare: mai piú ci rivedremo. E quando fummo per via soli, zio mi diede un forte pizzicotto al braccio, e mi fece gridare: "ah!" Poi disse: "Eh! testa dura, scrivi questo nei giorni nefasti, perché oggi ti hai perduto una bella fortuna". Io aprii gli occhi, e non ne capii nulla, e andavo avanti tronfio con la testa alta, e parlavamo con Giovannino ancora di Cesare e di Annibale.
      Non è possibile poi che io dica quale effetto avesse su me la parte fantastica della storia. Avevo una inclinazione naturale al rêve. Stavo spesso a testa china e taciturno, e zia Marianna ch'era come la governante di casa, talora mi dava un gran grido nell'orecchio, strillando: "Ciccillo!


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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