Venne il dí appresso, e Rachele non trovò la panella, corse da zia Marianna. La zia fece la faccia seria, e disse: "Ciccillo mi dirà la verità". E mi chiamò che mi tremavano le gambe, e mi pose gli occhi negli occhi, e disse: "Ciccillo, chi ha rubato la panella?" Io scoppiai in pianto.
In quel tempo ero spesso malato; fin d'allora ero stitico, il mio male era sempre nel ventre. Medico di casa era un certo Domenico Albanesi, che mi curava col metodo allora in fiore: purganti, salassi, clisteri, vomitivi e digiuni. Un salasso mi rimase aperto parecchi mesi, e ne ho ancora oggi la cicatrice. Per fin anno non bevvi piú caffè, perché ci sentivo dentro un odore d'ipecacuana. Talora, vista inutile l'azione delle purghe, ricorrevano al sale inglese, a costo di, vedermi scoppiare. Di sotto a quella cura usciva magro, e fragile e sottile come una canna, e pareva Nicola Villetta mezzo vivo e mezzo morto.
Capitolo quartoGENOVIEFA
Anche oggi non posso pronunziare questo nome senza un battito di core. Genoviefa aveva qualche anno piú di me, ed era mia sorella ed era l'anima mia. Mi comandava con l'occhio dolce. E cantava e saltellava sempre, ed era bianca e rossa, come dicono nel mio paese, Ci vogliono intendere ch'era bellissima. Piccina la mandarono a Napoli a gran contentezza di zia Marianna, che la vestiva come una bambola. Quando andava per le vie, con quelle braccia nude e bianche, era una gioia, e tutti la guardavano. Mamma lo seppe, e si spaventò che con tanti vezzi e ninnoli non le guastassero il cuore, e rivolse la figliuola a casa.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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