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      Ma ero io solo con la mia foga e con la mia superbia, e facevo poco buon frutto e fatica molta. A me però sembrava di venire un gigante in mezzo ai miei compagni, che aprivano gli occhi a sentirmi come un oracolo affastellare tante cose nuove. Il professore diceva che il sensismo era una cosa buona sino a Condiliac, ma non bisognava andare sino a Lamettrie e ad Elvezio. Ragione per cui ci andavo io con l'amara voluttà della cosa proibita. Queste letture non mi guastavano le idee, ch'erano sempre quelle del maestro, e guardavo d'alto in basso quegli autori, e dicevo con sicumera che Elvezio era un sofista e Lamettrie un chiacchierone. Voltaire, Diderot, Rousseau mi parevano bestemmiatori, avevo quasi paura di leggerli. Il professore ci pose poi in mano il Burlamacchi, e piú tardi l'Ahrens per il diritto naturale, inculcandoci anche lo studio della Diceosina di Genovesi. Qui c'era la famosa questione delle forme di governo. Mi ricordo con che abilità se ne seppe cavare l'abate. Conchiuse ottima essere la forma mista; ma modestamente diceva essere questa l'opinione di Montesquieu, non la sua.
      Di conserva con la metafisica andava la fisica. Era la Fisica sperimentale del Poli, un altro abate, credo, scritta nel solito italiano corrente. A me pareva di entrare come in una nuova stella o in un nuovo mondo, quando cominciava uno di questi studi. Come la metafisica, cosí la fisica mi facea girare il capo, mi tirava su come in un mondo superiore pieno di luce. Il professore aveva a sue spese fatto un magnifico gabinetto, che poi fu acquistato dall'Università. Aveva l'esposizione brillante.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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