Mi par di vederlo tra quelle macchine animarsi, gestire, colorire; aria, luce, elettricità; come si esaltava la mia immaginazione! Quella scintilla elettrica me la sentiva correre per le ossa. Quell'uccellino che perdeva il fiato nella campana pneumatica, mi toccava il core. Mi pareva essere in Cielo vagante tra quei primi elementi e assistere alla creazione. Il professore si studiava di tirarci allo studio di ciascun particolare e faceva esperienze delicate; ma io era miope, e gustavo poco quel che poco vedevo, e mi teneva nel largo, aiutandomi con l'immaginazione.
Dove proprio non fu possibile andare avanti, fu nelle matematiche.
L'aritmetica ragionata non mi voleva entrare in capo, e a gran fatica giunsi fino alla moltiplicazione, non seppi mai fare una divisione; non dico nulla dei rotti, delle frazioni e dei problemi. L'abate ci faceva le operazioni sulla lavagna; io ripeteva bene, perché aveva memoria, ma non ne capiva nulla. Il medesimo mi avvenne con la geometria piana e solida. Facevo le figure bene; ma quando cominciavo con l'angolo a b c e la curva e la retta f, e i triangoli e i cateti, mi pareva entrare come in una torre di Babele, e piú andavo innanzi e piú spropositavo, e quelle lettere mi ballavano innanzi e si mescolavano, e non c'era verso di cavarne un sugo, sicché correva subito al finale: Quod era demonstrandum. Per nascondere al maestro la mia confusione, mi mangiavo mezza la dimostrazione, ingoiando sillabe e correndo a precipizio. Il maestro ci badava poco, distratto e spesso seccato, e ci accomiatava con il suo solito intercalare: "Appresso!
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Cielo Babele Quod
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