E ci menò in piazza, e là dove si apre una scalinata di grosse pietre che conduce alla strada di sopra, c'imboccammo in un portoncino, e fummo subito sopra. Trovammo D. Domenico nella prima stanza, già non erano che due stanze in tutto. Era quella stanza di un bianco sporco, decorata di ragnatele e di spaccature qua e là. Non so che puzzo mi saliva il naso. D. Domenico stava su di una seggiola di faccia all'uscio, presso alla finestra, con una gran tavola avanti, sparsa di scartafacci e d'inchiostro. Entrando noi, si levò e stese la mano a zio Pietro. Aveva in capo un berretto da notte, era grasso e basso, con la faccia rossa a fondo nero, la fronte piena di rughe, gli occhi cisposi, e le labbra grosse e bavose. Toccava l'ottantina, non portava barba. Appresso a noi entrarono altre persone, si fece folla. Baciammo la mano al grand'uomo di Morra Irpino; lo chiamavano il dottore e il filosofo. Ai tempi suoi egli era stato in Napoli, e vi aveva avuta un'educazione finita. D. Nicola del Buono, D. Peppe Manzi, D. Domenico Cicirelli e zio Carlo erano i sopracciò innanzi ai morresi. D. Domenico era un libro vivente. Cominciò a narrare la presa della Castiglia, la morte di Luigi XVI, Marat, Danton, Robespierre, Carlotta Corday, e poi venne Napoleone. Molte cose aveva lette, molte vedute, a molte aveva assistito. S'era lí a sentirlo, a bocca aperta. Ed ecco due contadini portarono parecchi boccali di vino, e si bevve in giro. A noi piccini toccò un bicchiere di rosolio. D. Domenico era molto ricco, ma stretto nello spendere; e fu punito dalla prodigalità dei nipoti, e oggi un suo nipote fa l'usciere e va stracciato, e i figli zappano la terra.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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