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      Votati i boccali, e sgombrata la stanza, si rimase in pochi. E D. Domenico mi prese per mano e mi domandò cosa avevo imparato. E d'uno in altro discorso si venne alla metafisica. D. Domenico era secolo decimottavo, vale a dire un materialista e un ateo, e ne domandò sogghignando se c'era Dio. "Sicuro, - diss'io; - ci può essere dubbio?" "Gli, - rispose lui; - come lo sai tu? Perché te l'ha detto il prete!" "Che prete? - diss'io, - ci sono le prove". "Oh! e sentiamo". E io cominciai a infilzare le prove come avemarie: prova di sant'Agostino; prova di sant'Anselmo; prova di Cartesio; prova di Leibnizio; prova di Bossuet, e finii trionfalmente col celebre:
      Dovunque il guardo io giro,
      Immenso Iddio, ti vedo.
      Parlavo con tanto ardore, con tanta facilità, che un mormorio di approvazioni mi accompagnava, e in ultimo papà, non potendo piú tenersi, mi prese in braccio, mi dié tanti baci. Solo D. Domenico stava serio, e calava il mento in atto d'incredulo, e ribatteva qua e là, e io con maggior veemenza controbatteva, incoraggiato dal manifesto favore dei presenti. Finalmente D. Domenico me ne tirò una buona, che mi fece traballare sulle gambe. "Dimmi, - disse; - è, vero che niente è nell'intelletto che non sia stato nei sensi?" "Sicuro, - diss'io; - questa è la base della conoscenza". "E dunque, bello mio, con quale senso tu conosci Dio? Con la punta dei tuo naso? Lo vedi? Lo tocchi? L'odori?" Io m'imbrogliai e balbettai. E lui m'incalzava, sghignazzando, e zio Pietro gli faceva cenni che non mi stringesse troppo.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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