Il Gelli, il Giambullari, il Firenzuola, il Caro, il Castiglione, mi deliziavano. Nessuno dei miei compagni aveva tanto letto. E poi, ciascuno aveva le sue faccende; a molti quella scuola era una parentesi. Per me la mia faccenda era quella; non pensavo ad altro; stavo le intere giornate correggendo bozze di stampa, sfogliando dizionari e grammatiche. E a poco a poco, senza ch'io me ne accorgessi o ci pensassi, mi trovai il segretario e il favorito del marchese Puoti. Quello a cui prima non poneva la mira, come a cosa troppo alta, parve allora a me e a tutti cosa naturalissima. Non ch'io surrogassi qualcunaltro; nessun lasciò il suo ufficio; l'abate Meledrandi stava sempre lí col suo piglio beffardo e insolente. Il nome era pur quello, ma sotto al nome non c'era piú la cosa. Il marchese perdeva la pazienza, e l'interrompeva spesso. Una sera ch'egli faceva la lettura, il marchese era di pessimo umore, e lo correggeva aspramente, ripigliando la parola letta e pronunziandola lui, accompagnando la correzione con un certo suo intercalare favorito, che moveva a riso tutti. L'abate sbuffava, e non trovava loco, e non potendo piú tenersi, uscí a dire: "Ma insomma, ora debbo alzare la voce, ora no, debbo abbassarla; non so come uno si debba regolare con voi". Guardammo al marchese, e ci pareva che stesse lí lí per avventarglisi e pigliarlo pel collare; ma si contenne, e gli fece un'ammonizione senza intercalare, fredda e dura. Da quel dí Meledandri perdette autorità. Ritornò poi in Castellaneta, sua patria, e non ne seppi piú notizia.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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