Giovannino e io eravamo nel termine degli studi legali. Zio Pietro pensava già ad allogare Giovannino presso un avvocato, per fargli la strada. Io poi nel suo pensiero doveva essere un aiuto dello zio per sorreggere la scuola in quei suoi vecchi anni. Cosí cominciai maestro di Storia Sacra.
Egli ne aveva parlato anche col marchese, al quale piaceva molto ch'io mi consacrassi alle lettere, e fin d'allora mi chiamava "il professorino". Io era l'occhio dritto dello zio non solo per i miei studi, ma per la mia tranquilla condotta, e non ricordo mai di aver ricevuto da lui alcun castigo. Naturalmente io era lo scudo della mia famiglia, e quando zio Pietro e zia Marianna dicevano male del babbo o mettevano in canzonatura mio fratello Paolino, zio li ammoniva con l'occhio, accennando alla mia presenza: il qual sentimento di delicatezza mi fece impressione. Essi mi sogguardavano e tacevano.
In questo mezzo era morto il professore di latino della Università, e s'era aperto il concorso. Zio Pietro stimolò molto lo zio perché concorresse anche lui. Zio vi consentí a malincuore, e passò ore angosciose tra preparazione, timori e speranze. Venne il dí. Si fecero gli scritti; poi si dovea tenere la lezione pubblica. Vi andò molta scolaresca, e vi andò zio Pietro, e vi andò il marchese e molti chiari uomini. A me batte il cuore, e non osai andare; pure i piedi mi tiravano là. Giunto alla chiesa del Gesú Nuovo, non proseguii, ed entrai e m'inginocchiai avanti all'inferriata dell'altare maggiore.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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