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      Non so come, mi era venuta quell'idea. Rimasi lí per un pezzo col capo appoggiato ai ferri. Era già lungo tempo ch'io non usava a chiesa. La prima domenica che non sentii messa, quel pensiero mi stava come un chiodo in capo. Poi venne l'abitudine e l'indifferenza. Il governo che voleva per forza la fede della congregazione, ci rendeva odiosa ogni specie di culto. Pareva un atto servile. C'erano poi i malcreati che motteggiavano i giovani timorati di Dio.
      Io avevo lasciato da parecchio ogni studio di filosofia, e mi stavano ancora in mente i principii religiosi, rimasti però in aria, senza alcuna base nella vita. Seguii l'andazzo. Non sentivo piú messa, non mi confessavo piú. Tutto questo, stando lí inginocchio, mi si affacciava come un rimprovero. Pensai che forse Dio per punire me non sosterrebbe lo zio nell'ardua prova. E mi posi fervidamente a pregare. Non erano avemarie e paternostri, come facevo piccino; era un'onda che mi gonfiava il cuore e si versava fuori. Stetti cosí un pezzo tra lacrime e preghiere. Uscí una messa ch'io sentii. Ma nel bel mezzo mi distrassi, e non seguii piú il prete, e seguii le ombre del mio cervello. Pensai a don Domenico Cicirelli e a quel tal Fortunato, e mi pareva gente sofistica e dappoco dirimpetto alla solenne e parlante grandezza di quella chiesa. Il mio sguardo si perdeva tra quelle volte, e mi pareva che tutte quelle facce di santi e di beati dipinti prendessero sangue e carne e guardassero me. Mi sovvenni del Figliuol prodigo, e m'intenerii, e non sapevo comprendere come avessi potuto tollerare gli sconci parlari dei cattivi compagni, e ripigliando l'antica usanza mi feci un gran segno di croce come per cacciarli via da me.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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