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      Capitolo DECIMOLA CRISI
     
      Fu quello un momento solenne nella mia vita. Non avevo mai pensato al dimane; tiravo innanzi alla spensierata e allegramente, come lo zio non dovesse mai morire, e le cose dovessero stare sempre cosí. Questo medesimo era in capo ai miei cugini. In casa era un allegria, una gara di studi e di esercizî geniali. Zio ci seguiva col suo occhio pieno d'affetto, e voleva, quando si levava il mattino, sentire da noi ripetizioni, conferenze, tutto ciò che imparavamo nei diversi rami dello scibile.
      Stavo allora leggendo il Galateo ed il Cortigiano, e vago sempre di fatti guerreschi, la sera leggevo come un romanzo le Guerre di Fiandra del Bentivoglio e le Guerre civili del Davila. Quello studio delle frasi m'era venuto un po' a noia; le cose m'interessavano molto, e avevo la stessa ammirazione verso scrittori differentissimi d'ingegno e di stile, come Guicciardini, Davila, Cellini. Le Storie del Machiavelli mi seccavano, salvo qualche brano rettorico. Il mio gusto non era ancora formato. Cercavo negli scrittori il sentimento, l'immaginazione, l'acutezza e la novità del pensiero, e non m'entrava ancora quell'aurea semplicità che vantava il Puoti. Sentivo che c'era una certa contraddizione tra quel secco periodare da cinquecentista e quel secco fraseggiare da trecentista. Venutomi a noia lo studio delle parole, mi prendea vaghezza di studiare le cose. Sotto Costantino Dimidri avea cominciato lo studio dell'anatomia. La miopia m'impediva di veder bene il cadavere tra quella folla, e supplivo con le figure e con lo studio camerale.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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