Scesero poi tra gendarmi alcuni giovinastri con le mani infarinate, e tra percosse e pugni pure strepitavano e minacciavano. Fummo messi in fila a due a due e menati per Toledo. Bello spettacolo! Io stavo come un asino in mezzo ai suoni; non ci capivo nulla. Toccai un vicino, e dissi: "Cosa è stato?" E mi narrò che, passando il carro dei principi, le maschere a furia di confetti avevano rotti i vetri al balcone, sfregiando signori e signore. Ora alcuni giovanotti per far vendetta apparecchiarono della calce, e quando il carro ripassò sotto al balcone, ve la gettarono tutta con parole e con gesti di minaccia. Figuriamoci. Le vie erano guardate da gendarmi a piedi ed a cavallo. Io capii il resto, "E... cosa sarà di noi ora?" Stava presso a me un gendarme, che mi domandò di quale paese ero. "Sono di Morra", diss'io. "E sono di Morra io pure, - disse lui, - e ti voglio dare un buon consiglio. Dateci qualcosa a noi altri, e vi faremo svicolare". La cosa fu sentita; si pose mano nel taschino, e io con molta premura diedi al mio bravo compaesano, chi lo sa?, due piastre, avanzo dei famosi trenta carlini. Ci fecero un bel sorrisetto, e colui disse a me, pigliando le due piastre: "Grazie, signorino". Noi con gli occhi a destra e a manca guardando i vichi; e quelli con gli occhi di traverso su di noi dicevano: "Avanti, avanti". Ci condussero in prefettura, e poi a Santa Maria Apparente. "Dove andiamo?" dicevo io. "Camminate, signorino, che è tardi; non dubitate". Salivo salivo che mi veniva l'affanno; quegli m'ammiccava; e io pensando che mi conduceva a casa mi trovai per un ponte tra brutti ceffi in un camerone oscuro, dove fummo gittati tutti come una balla.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Toledo Stava Morra Morra Santa Maria Apparente
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