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      Le immaginazioni furono colpite; la paura rendeva irresistibile l'epidemia. Si raccontavano molti casi di colera fulminante, con le circostanze piú strazianti. Si parlava di famiglie intere spente, di migliaia di morti al giorno, e coi piú minuti particolari si descrivevano i casi di contagio. Non c'erano allora giornali; il governo col suo mutismo accresceva il terrore e provocava le esagerazioni. Quel tintinnio di campanelli che accompagnava le comunioni, pareva la campana dei morti; i piú agiati fuggivano alle loro ville; la plebe squallida e sudicia faceva spavento; nessuno osava accostarsi; l'uno fuggiva l'altro. La vita pubblica fu sospesa; le scuole, le botteghe erano deserte.
      Il morbo, che dopo alcuni mesi pareva ammansito, riprese con piú furore l'estate dell'anno appresso. È rimasta ancora nella memoria la giornata di San Pietro e Paolo, per il gran numero dei morti. Avvenivano scene che richiamavano alla memoria gli untori di Milano. Gli opuscoli dei medici confondevano ancor piú le menti. Chi affermava l'epidemia e chi il contagio. Molti i rimedi, e perciò si prestava poca fede ai medici e alle loro cure. C'erano i creduli, che narravano cure miracolose; ma il morbo procedeva con tanta violenza che lasciava poco adito alla ciarlataneria. Non mancavano le processioni, le esposizioni di Santi e di Madonne, le invocazioni e le preghiere e le penitenze; ma la paura del contagio raffreddava lo zelo religioso. Nell'ultimo tempo, per non fiaccare piú gli animi, s'era tolta dagli occhi ogni parte spettacolosa, i campanelli, le fraterie, i preti, i fratelli delle congregazioni, ogni Sorta di accompagnamento, il che scemava poco la paura e accresceva lo squallore.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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