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      Quel maestro perciò garbava poco alla mia testa piena di fumi e di fantasie stravaganti, ed ero disposto a seppellire quel nome sotto l'altro di amico, al che mi sforzava anche la mia natura affettuosa. Quando Pasqualino mi diceva: "Signor maestro", e faceva atto di volermi baciare la mano, mi sentivo nella gerarchia sociale inferiore al mio discepolo, quasi il suo protetto e il suo stipendiato, e rispondevo subito: "Chiamatemi amico".
      Egli aveva due sorelle di modi e costumi semplici, che assistevano alla lezione, e piú tardi vi parteciparono. Innanzi a loro sentivo anche piú vergogna di fare il maestro, e prendevo il tono della conversazione, e poi, finito, continuavo a star con loro, e spesso uscivamo sul terrazzo, intrattenendoci in discorsi familiari. Talora facevo letture. La mia voce era chiara, intonata, ben variata, secondo il senso e l'affetto, un po' enfatica. Quella declamazione piaceva loro moltissimo, e io che vedevo l'effetto, ci aveva messo una certa vanità, e poco mi faceva pregare, e prendeva il libro in mano con un riso di soddisfazione anticipata. A poco a poco il maestro scomparve e rimase l'amico. Non volli danaro da loro, e ci andavo piú spesso, e le ore fuggivano in quelle visite desiderate. Fino a quella età non mi era mai occorso di stare in compagnia di donne; quelle due giovanette amabili e ingenue mi attiravano con un sentimento che non sapevo e non volevo definire: insomma mi piaceva di star con loro, e mi si schiariva la faccia, e mi si scioglieva la lingua, io ingenuo al par di loro.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





Pasqualino