Avevo per la donna un culto letterario, e mi sentivo disposto a piegar le ginocchia e adorarla. I miei sentimenti platonici e spirituali, vestiti di poesia, di cui sonava l'eco in Beatrice e in Laura, entusiasmavano quelle vergini nature, entusiasmavano me stesso. La faccia mi si trasformava; gli occhi scintillavano, volti al cielo; la voce tremava di commozione; talora nella declamazione si sentiva un accento di verità. Tuffato in queste distrazioni dello spirito, non mi accorgevo piú del colera, se non quando lo vedevo rappresentato sulle facce de' conoscenti.
Le occupazioni mi erano anche schermo contro il morbo, e non mi lasciavano tempo di pensarci. Da qualche mese avevo una lezione privata anche presso il duca di Cassano. Costui era un grosso omone, di buonissima pasta, e mi soleva ricevere con aria benevola, tanto che avevo preso dimestichezza seco. Facevo lezione a un suo figlio, una testa stordita e distratta che poco mi badava. Quel signorino aveva quasi l'aria di dirmi: "Non mi seccate". Poco si andava innanzi, ancoraché io mi c'infervorassi. Il duca, dopo la lezione, soleva intrattenersi un pochino con me, e la prima domanda era: "Come è andato?" "Male, - dicevo io con la mia sincerità; - egli tiene due diavoli addosso, che gl'impediscono ogni serietà di studio: l'esser nobile e l'esser ricco". Il duca s'inalberava, e chiamavalo a sé e gli faceva una strillatona. Ma come era un gran bravo uomo, gli si vedeva un certo riso di bonomia tra' baffi, che rassicurava quel birichino.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Beatrice Laura Cassano
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