Pochi dí appresso mi giunse notizia che il duca di Cassano, il giorno dopo ch'ero partito, colto da timor panico, s'era rifuggito sul Vomero, ed era morto subitamente. La notizia accese ancora piú le fantasie, e le facce erano oscure, e i discorsi lugubri. Io aveva la testa piena di grilli e non sapeva star solo. Mi vennero a noia paese e paesani, e presi il volo. La mattina seguente volli partire. Mamma, ancorché fosse innanzi l'alba, e il freddo grande, volle accompagnarmi fino al cimitero, e là c'inginocchiammo e pregammo. Io avevo una gran tosse e lei mi si attaccò al collo, e mi stringeva forte, e mi diceva con lacrime: "Figlio mio, forse non ti vedrò piú". Ed era presaga! Non dovevamo piú rivederci.
Trovai in Napoli il colera un po' rimesso. Gli studenti tornavano, le scuole si riaprivano; la novità era l'edizione fatta di fresco delle poesie di Giacomo Leopardi. Io ne andavo pazzo, sempre con quel libro in mano. Conoscevo già la canzone sull'Italia. Allora tutto il mio entusiasmo era per Consalvo e per Aspasia. Avevo preso lezione di declamazione dal signor Emanuele Bidera, che aveva stampato sopra la sua arte un volume, zeppo di particolarità e minuterie. Io era tra' suoi scolari piú diligenti, e quando c'era visita di personaggi, il primo chiamato ero io. "Fatevi avanti, signor De Sanctis, declamatemi l'Ugolino". Quello lí era il mio Achille. E io, teso e fiero, trinciando l'aria con la mano diritta, cominciavo: "La testa sollevò..." Non mancavano i battimani; ma un uomo di spirito mi disse: "Piangete troppo". Ricordo il motto, non ricordo la persona.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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