Vi è una magnifica situazione per voi", questa era la mia risposta. E tra scrivere, rispondere e riscrivere passava il tempo, e i bisogni crescevano e i cuori s'indurivano.
Io n'ero arrabbiatissimo; vedevo tutte le batterie rivolte contro di me, come se al mondo non ci fossi altro che io; e non c'era altro nel mio capo che io, babbo e famiglia mia. Ora che ci guardo, mi viene da ridere. Non pensavo che in quella farsa stizzosa ciascuno rappresentava la parte a cui lo chiamava il suo interesse, e che tutto era ragionevole e non poteva andare che cosí. Finalmente una parola che era nel desiderio degli uni e nel timore degli altri, fu lanciata fuori come una bomba: "La divisione, vogliamo la divisione!" E qui zio Peppe a strepitare ch'era uno scandalo, e che i panni sporchi si lavano in famiglia, e che vis unita fortior. Invano. A Napoli non si poteva piú vivere, a Morra c'era da rivendicare il proprio. Partirono. Seppi che il povero zio aveva fatto la quarantena. Quando fu lasciato entrare, ricomparve nella casa paterna, dopo molti anni di assenza e di lavoro, povero e malato, sostenuto a braccia. E io che ce l'avevo con lui! Ora mi rimprovero di essere stato un fanciullo crudele.
Giovannino andò in casa di zia Marianna; io da Enrico Amante a San Potito, in un secondo piano. Al primo piano abitava un tal Luigi Isernia, un avvocato amico di casa Puoti, col quale pensavo di poter fare la pratica forense, giacché quel grillo non m'era ancora uscito di capo. Quando zio Carlo seppe il fatto, mi scrisse: "Evviva la furia francese!
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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