E voleva che io stessi da zia Marianna insieme con Giovannino, col quale ero cresciuto. Ma gli risposi, che quando i padri si dividono, non potevano i figli restare uniti. Cosí si divisero a Morra e ci dividemmo a Napoli.
Capitolo quattordicesimoCASI FORTUNATI
Il secondo palazzo di là dal quartiere dove erano allora accasermati gli Svizzeri, era quello in cui Enrico e io prendemmo casa. Al secondo piano era un gran terrazzo, con frequenti spaccature impeciate. Su di una parte di questo terrazzo era stata improvvisata una casetta di quattro stanze e una cucina, piena d'aria e di luce, che a noi parve una reggia. Zio Carlo aveva dato i mobili di casa tutti a Giovannino, e a stento avevo potuto impetrare un letto. Con quello m'impossessai d'una stanza. In un'altra s'instalḷ Enrico col suo letto e con alcuni vecchi mobili. Un vecchio divano con quattro sedie sdrucite decoravano il nostro salotto. A dritta veniva uno stanzone immenso, con una gran finestra in fondo, uscito pur allora dalle mani del fabbricatore, con le mura bianche di calce, e col tetto non incartato e col pavimento non mattonato. Là, entrando, alla dritta era un piccolo tavolino pieno di carte e di libri, ch'io chiamavo una scrivania, e dinanzi era una sedia di paglia, sulla quale, quando mi sedevo con la penna in mano e con gli occhi al tetto irradiato di sole, parevo un re, il re di quel camerone. Spesso vi andavo passeggiando in lungo e in largo, tutto a caccia delle idee e di frasi, e talora acchiappando mosche e allargandomi sul terrazzo, quasi l'aria mancasse ai voli della mia immaginazione.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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