Quel camerone oggi non v'è piú: se ne sarà cavato un par di stanze eleganti; ma io non posso pensarci senza tenerezza, e mi par che con esso se ne sia andata una parte della mia esistenza. Là per la prima volta io mi sentii chez moi, dando libero corso alle mie meditazioni e alle mie immaginazioni. Enrico ed io eravamo come due studenti, entrati pur allora nel pieno possesso di noi.
Un giorno mi capitò il babbo. Veniva per "vedere il tutto", come disse. Non era senza ansietà sul mio indirizzo, cosí solo, senza guida né freno. Ma s'accorse subito che eravamo buoni figlioli, guidati e frenati da retti principii, ai quali si credeva come al Vangelo. Virtú, gloria, patria, giustizia, scienza, dignità, castità erano per noi cose reali, non nomi vani. Papà credeva di trovare due disperati, rimase ammirato alla nostr'aria spensierata e contenta. Egli si mise per terzo, e scendendo dal suo piedistallo paterno, ci si fece un allegro compagnone, e condiva la mensa con di bei motti e con arguti brindisi. Egli era dottore in utroque jure, e aveva interrotta la sua carriera per un matrimonio impostogli da ragioni di famiglia. Era un buontempone, di allegro umore e di buon cuore, senza dimani. Nei casi piú tristi si consolava dicendo: "Dio non peggio". Usava dimesticamente con tutti, coi contadini, coi giovani; anzi aveva una certa inclinazione a fare lo scapolo, il giovanotto. La sua immaginazione ridente lo tirava a ingrandire e indorare gli oggetti, ed era un ottimo istrumento della sua vanità non piccola.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Vangelo
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