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      Idolo dei fanciulli, che gli correvano appresso e lo chiamavano zio Alessandro, egli faceva con loro molti giuochi, come la testa del morto, le candele funebri, le ombre, e li divertiva e si divertiva. Non è dunque meraviglia che, con questa uguaglianza di umore, si sia lasciato ire sino a ottantasei anni, allegro e rubicondo. Dopo pochi dí prendemmo confidenza, e ce lo menavamo a braccetto per Napoli. Raccontava con molto sale le piú strane storielle della sua gioventú, e faceva ridere la gente, non me, poco disposto al riso e sdegnoso di quel genere di discorsi. Un giorno ebbe un invito a pranzo dal marchese Puoti. Egli ne andò in sollucchero, e scrisse a zio Peppe: "Non vi dico nulla dell'invito marchesiano. Ah! Peppe, fidiamo nella stella di Ciccillo e preghiamo Iddio che niente arresti i suoi passi".
      A Morra s'era in una certa apprensione intorno al mio stato. A forza di vivere fra quella gente, papa s'era fatto un cervello morrese, voglio dire che vedeva il mondo attraverso di Morra. Spesso diceva: "Bisogna mostrare a Morra"; ovvero: "Cosa dirà Morra?" Appena giunto, empí tutto il paese di mia grandezza, e raccontò che m'ero già messo in sofà e poltrona, e facevo sonare il borsellino delle mie piastre di argento, a gran consolazione della famiglia, e massime di zio Peppe, che mi voleva bene e credeva a quelle fole. Mi mandarono subito mio fratello Vito, come s'era convenuto. Ma se a Morra ero un ricco, a Napoli ero poco meno che un pitocco. L'affare si faceva serio. I danari che mi parevano inesauribili, talora non bastavano al vitto.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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