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      Oggi doppia razione
      , gridai io. E chiamai Annarella e diedi gli ordini trionfalmente.
      Ma non perciò le nostre condizioni erano migliori. Io me ne apersi con don Luigi Isernia, presso il quale facevo la pratica, e il poveruomo, che capi il latino, mi disse subito che da lui non avrei cavato mai neppure un tre calli, e mi promise di presentarmi a un avvocato famoso e danaroso. Era un tal Don Domenico, non mi ricordo piú il cognome; abitava in via Costantinopoli. Io ci fui, e feci un'anticamera di circa due ore, tra le piú vive impazienze. "Che modo è questo? - dicevo tra me, pestando dei piedi. - Come foss'io un servitore! Questo signor Domenico non conosce il prezzo del tempo". Finalmente eccolo lí quel signore, bocca ridente, che mi sbuca da una stanza, con splendore di orologio e catenella, col panciotto ben teso, e gitta l'occhio verso di me, come per caso, e dice: "Ah! voi siete qui? Andate a studio; il mio giovane vi dirà quello che avete a fare". E mi voltò le spalle, il grand'uomo. Entrai. Un giovanotto sbarbato m'indicò certe carte che dovevo copiare. "Ma io non sono un copista", dissi, mutando colore. Egli alzò le spalle con un piglio insolente, e io abbassai il capo e copiai. Uscii invelenito. Mi tenevo qualcosa di grosso, poco meno che un Cicerone in erba. "E questo vuol dire fare l'avvocato? non ne voglio piú sapere". E feci il giuramento di Annibale, e non vidi piú in vita mia né processi, né tribunali. Toltami cosí questa fisima dell'avvocheria, i miei studi di lettere presero un nuovo sapore, e mi ci strinsi di piú, come a naturali compagni per tutta la mia vita.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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