Io mi faceva rosso rosso e non rispondeva. Intanto quel bravo marchese s'era fatto di fuoco per me.
Un giorno stavamo a pranzo, core a core, Enrico ed io. Fumavano quei bei maccheroni di zita, ed io li divorava con gli occhi, quando si udí sonare il campanello. "Chi è? chi non è?" Annarella corre e torna subito. "Gli è un signore tutto ricamato d'oro, che vuol sapere se abita qui De Sanctis". "Ma è uno sbaglio", diss'io. "Ricamati d'oro non vengono a casa nostra, - rifletté Enrico, - vanno a casa di principi". "E costui dev'essere qualche principe, - notai io. - Annarella, digli che ha sbagliato". Annarella torna, e dice che quel galantuomo non ha sbagliato, e che la casa è questa, e che cerca Francesco De Sanctis, e ha una carta per lui. "Alla buon'ora! Fatti dare dunque questa carta". Tornò e vidi un plico con un gran bel suggello, che mi fece l'effetto dell'uomo ricamato d'oro, e quasi non volea romperlo. "Fai presto", gridava Enrico battendo i piedi. E io aprii e vidi il nome del re con tanto di lettere. "Sarà un passaporto", dissi. Ma quando vidi ch'era il decreto di mia nomina a professore del Collegio Militare, ci levammo in piè e ci abbracciammo, e se non era per vergogna di Annarella, ci saremmo messi a ballare, cosí pazza allegrezza c'invase. Annarella, ci guardava trasognata, con la bocca mezz'aperta, come volesse dire e non dire. "Ah! quel signore", dicemmo a due, e fummo là dove quel brav'omo ci attendeva. "Grazie, grazie", diss'io con effusione. "Signurí 'o rialo", diss'egli, cavandosi il berretto.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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