Io guardai Enrico, Enrico guardò me: in due potemmo appena fare un carlino. Egli partí borbottando, e forse dicea: "Che sfelienzi!". E noi ci guardammo, e ridemmo tutti e due, vedendo quel principe ricamato d'oro divenire un usciere gallonato, che faceva il pezzente. Annarella voleva sapere cosa era seguito. "È seguito, - diss'io, - che domani avrò tanti danari, che non saprò cosa farne". "Eh! ne farete un abito a Rosa, la mia cara figliuola". Glielo promisi; e mangiammo i maccheroni freddi con buonissimo appetito.
Era già qualche mese ch'io dava lezione ai figli del marchese Imperiale, Augusto e Checchino. Giunsi là gioioso, e narrai la mia buona ventura al padre. "Chi è stato il tuo Santo?" mi domandò. Io non capiva. "Il tuo merito è grande, senza dubbio, ma senza non si va avanti". Io capii e dissi: "Il mio Santo è stato Basilio Puoti".
Capitolo quindicesimoIL COLLEGIO MILITARE E IL CAFFÈ DEL GIGANTE
Quando zio Carlo seppe la mia nomina a professore nel Real Collegio Militare, pianse e ricordò ch'egli aveva cominciato la sua carriera professore alla Real Paggeria, dov'era il Collegio di Marina. "E Ciccillo, tomo tomo, fa il suo cammino", conchiuse. Una certa apparenza d'insensibilità e una certa tensione nei modi mi avevano procacciato in casa quel nome di tomo tomo, e anche di tomo sesto.
A me stesso parve gran cosa quella nomina. Forse c'era quel pensiero del mensile fisso, che trae molti agli uffici di Stato; forse era curiosità, come d'una condizione nuova e ignota. Il fatto è che, quando venne il tempo, poco dormii la notte e, con aria impaziente, giunsi in carrozzella nel Collegio.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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