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      Trovai al primo corridoio l'aiutante maggiore, un bassotto rugoso, con una cera punto militare, che mi guidò all'ultima camera, a sinistra. Quei ragazzotti si levarono in piè, e io salii alla cattedra posta vicino all'ingresso. "Sedete", gridò l'aiutante maggiore, quando mi fui seduto io, e tutti fecero come un sol tonfo, con un rumore eguale. L'aiutante mi fece il saluto militare, e via. Io ero lí, rosso e confuso per la novità, e quelli mi spiavano, cambiandosi cenni birichini con l'occhio. Quando cominciai a parlare, essi mormoravano tutti insieme: "Chiosa chiosa". Io non capivo, e stavo lí tra la stizza e la vergogna, e piú ero stizzito io, piú loro erano impertinenti, e facevano rumore coi piedi, e sghignazzavano, e si berteggiavano, guardando me. Quell'ora fissata per la lezione mi parve una eternità. Quando venne l'aiutante, respirai e scesi frettoloso, a capo basso. Quella prima giornata non avea niente di trionfale; pochi badarono a me; l'aiutante mi si mostrò freddo. Aggiungi che l'aiutante mi disse: "Signor maestro", appena con un cenno di capo, mentre si levò il berretto gallonato con un profondo saluto e con un "Signor professore", quando entrava il mio successore. Questa differenza tra maestro e professore non era solo di stipendio, ma di grado e di dignità, ciò che mi pungeva.
      La sera, caduto dalle nubi dorate delle mie illusioni, fui in casa di monsignor Sauchelli, maestro come me, e di lettere come me. "Monsignore, - diss'io, - i vostri alunni sono cosí birichini come i miei?


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





Sauchelli