Vidi che loro andavano appresso alle cose e non alle parole; e scelsi allora dei brani, nei quali la materia fosse interessante, spiegando loro il senso e il nesso delle idee, e le gradazioni piú delicate del pensiero, incarnato nelle parole. Posi da banda le analisi grammaticali e l'analisi logica, noiosissime, e feci l'analisi delle cose, a loro gustosissima. Solevo scegliere i luoghi piú acconci a lusingare l'immaginazione, a movere il cuore, saltando spesso i cancelli dell'"aureo Trecento", e andando giú giú sino a Manzoni. Olimpia e Bireno, Cloridano e Medoro, Eurialo e Niso, la presa di Troia, il pianto di Andromaca, la morte di Ettore, Egisto e Clitennestra, Ifigenia, Lucrezia e Virginia, Olindo e Sofronia, i giardini di Alcina e di Armida, la pazzia di Orlando, la morte di Rodomonte o di Argante, il giardino del Poliziano, il Mattino del Parini, il Saul, la Lucia, la Cecilia, l'Ermengarda erano letture favorite, che li facevano uscir di sé, ed io, stupito io stesso da queste novità, mi dicevo: "Meno male che il marchese non ne sa nulla!" Io leggevo bene; la mia voce andava al cuore; quell'ora di lezione, già cosí lunga, passava con un: "È già finito?" E quei bravi ragazzi restavano scontenti, e domandavano in grazia una mezz'oretta di piú, e gli alunni delle altre classi si affollavano all'ingresso, e volevano sentire anche loro. Lasciai pure quei temi soliti di composizione simili a quei testi insulsi di lettura che si usavano nelle scuole, e che facevano "spensare" Vittorio Alfieri, e seccavano tutti quanti.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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