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      La decorazione c'era, ed era nel cuor mio e dei miei giovani, che vedevamo lí attaccate a quelle mura tutte le memorie della nostra vita intellettuale. Quando io entrava colà, e, cambiato uno sguardo coi giovani, mi si accendevano gli occhi e mi si scioglieva la lingua, quella sala mi appariva splendidamente decorata dalle immagini generate dalla mia fantasia. Né quel luogo pareva poco decoroso al marchese Puoti, uomo semplice, ch'era egli medesimo di quella sala la piú bella decorazione.
      Il mercoledí era giorno di traduzione. Ci veniva il marchese, e si faceva presso a poco quello che s'era fatto nel suo studio, salvo che, essendo ivi gioventú nuova, capitata allora allora dalle provincie, al marchese non parea di stare in casa sua, tra gente familiare, e usava un po' piú di riserbo nei modi e nelle parole. Anche la mia presenza gli faceva una certa impressione, perché io gli stavo a lato teso e duro, con la faccia oscura e severa, e non ridevo mai; i suoi scherzi e i suoi motteggi cadevano freddi in mezzo a una gioventú che la mia imperturbabilità teneva in soggezione. La scuola prese presto un'aria magistrale, e fu smesso quel tono di familiarità scherzevole, che piaceva tanto in casa del marchese. Non c'era ancora comunione spirituale tra maestro e discepoli; e quell'aria magistrale portava facilmente seco non so che di grave e pedantesco, che in certi intervalli ti toglieva ogni elasticità di pensiero, e la noia ti possedeva. Quel mercoledí era il giorno dello sbadiglio; era quella stessa scuola di Basilio Puoti, ma senza genialità, senza sale: la veste era pur quella, ma lo spirito era altro. il marchese ci stava a disagio; io parlavo poco, con un'aria fredda, che pareva alterigia ed era timidezza.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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