Pensando sempre alla stessa cosa, mi stillavo il cervello; il pensiero si volgeva in un vano fantasticare, e, non reggendo piú al gioco, mi veniva la distrazione; altri oggetti mi passavano innanzi, e finivo con sottigliezze e con frasi incoerenti: il cervello diveniva fumoso e pieno di ombre. Talora si avvicinava qualcuno e si ostinava a volermi tener compagnia. Io a fargli capire che volevo star solo, e lui a non volerla capire, e a dire: "Non fate cerimonie, tanto non ho che fare". E mi si cuciva ai panni, e parlava parlava, e io non sentivo niente che mi si aggirava la lezione per lo capo; e lui a voler per forza una mia risposta, e io col mento in aria, e lui da capo ricominciava la storia: era uno sfinimento, un tormento; l'avrei preso per la gola. Uno di questi, un tal Tommaso, mi ricordo, non gli bastando l'avermi seccato per tutta la lunga via, giunto al portone di casa, a me che gli dicevo addio, disse: "No, no, vi pare! vi accompagno per le scale". E sali, e mi entrò in casa, e visitò le stanze, e poi si ficcò nello stanzone da studio, e con scioltezza si mise a voltolarmi libri e carte, e chiacchierava, rideva e non la finiva piú. Io era come un condannato a morte, pallido, livido: fra due ore dovevo andare a scuola e fare la lezione, e in capo non ci avevo messo nulla, e quel manigoldo, piantato lí, ch'era una rabbia. "Amico, l'ora della lezione si avvicina". "Ebbene, ti accompagno a scuola". Questa parola mi fece venire un brivido. Lui credeva di farmi piacere, e non avendo a fare altro che mangiare, voleva fare ora per il pranzo.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Tommaso
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