Acquistai autorità sui discepoli, e l'impressione fu durevole, perché, con quel fine fiuto dei giovani, sentivano che in quelle lezioni io ci mettevo tutto me, ed ero sincero, e non c'era ciarlataneria, e serbava modestia e naturalezza. Quando nell'uomo c'è l'attore, presto o tardi vengono i fischi; ma l'uomo sincero e modesto non perde mai prestigio. C'era in me una contraddizione palpabile tra l'audacia delle opinioni e la cera bonaria e modesta: l'una mi attirava gl'intelletti, l'altra mi procurava la fede. Io, arditissimo nei concetti, non mi tenevo da piú di nessuno dei miei discepoli; anzi mi sentivo loro compagno e uno con loro, e non mettevo nessuna cura a velare i miei lati deboli; mi mostravo tutto al naturale, e mi piaceva di stare in loro compagnia e spassarmi insieme con loro. Cosí nacque quella parentela spirituale che non si ruppe mai piú, e che anche oggi m'intenerisce, quando qualcuno di quei giovani mi viene innanzi alla mente.
Le mie prime lezioni furono una storia della grammatica. Volevo fare una storia delle forme grammaticali; ma al pensiero gigantesco mal rispondeva la cultura, attesa la mia scarsa grecità e l'ignoranza delle cose orientali. Potevo rimediare con quei libri allora in moda, pieni di tante chiacchiere sulle cose greche e d'Oriente; ma queste generalità vuote non mi sono piaciute mai, né farmi bello delle altrui penne mi è mai entrato in capo. A scrivere e a parlare mi era necessario non solo che la materia fosse a me ben nota, ma che la studiassi io quella materia, e la facessi mia.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Oriente
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