Alzando il naso dal libro, mi guardavo intorno, come chi si sveglia e non riconosce ancora il luogo dove si trova.
Un giorno mi venne alle mani un trattato di patologia generale. Leggo e leggo con una curiosità mista di spavento quella infinita serie di morbi, e mi pareva il corpo umano come inverminito, e che vi pullulassero quei morbi l'uno dall'altro. Quelle descrizioni animate, che finivano quasi sempre col delirio e la morte, mi spaventavano e mi attiravano come un romanzo funebre. Lessi piú volte la descrizione del tetano: ignoravo il nome e la cosa. Impressionabile molto, mi pareva di sentirmi nelle ossa quei morbi che mi passavano dinanzi come fantasmi. Eccomi alla tisi. Mi batté il core, perché di quei mal sottile morivano per lo piú i giovani e le ragazze, e pietose storie se ne contavano, e io, cosí gracilino com'ero, mi toccavo spesso il petto per paura della tisi. Leggo adagio, notando i fenomeni, e, quando giunsi al calore nel vôto delle mani e al rossore delle guance scarne, mi levai turbato, che mi sentivo bruciare le mani, e corsi allo specchio per mirarmi le guance. Tacito, impensierito, stetti agitato per un paio di giorni, insino a che me ne confessai con l'antico medico di casa, signor Domenico Albanesi. Costui era un elegante mingherlino, ben chiomato, ben vestito, di faccia aperta e allegra. "Cos'hai?" mi disse, veggendo la mia brutta cera. Lo pregai di tastarmi il polso, esaminarmi il petto, e la voce mi tremava. "Ma io non t'ho visto mai cosí bene, - disse lui, toccandomi il polso.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Domenico Albanesi
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