Enrico era della compagnia. Talora l'andavano stuzzicando, ed egli si esaltava e diceva le cose come le sentiva, alzando la voce anche per via. Le persecuzioni politiche e il lungo esilio non l'avevano piegato.
Allora si sentiva nell'aria qualcosa di nuovo. Si vedeva un po' allargarsi quell'atmosfera plumbea che pesava sopra tutti, e ci tenea chiusa la bocca. Già alcuni nomi di patrioti reduci dall'esilio si mormoravano sotto voce: nella nostra ammirazione primeggiava Poerio. Nei primi anni sentivo imprecazioni contro i Carbonari, e io me li dipingevo come cosa diabolica. Ma il tono mutava in quel tempo, e le imprecazioni erano contro i sanfedisti e Carolina e Ruffo, e si vantavano gli eroi del Novantanove, ancora a bassa voce e quasi all'orecchio. Gli uomini del Ventuno, messi in mala luce, cominciavano a ripulirsi e a circondarsi di un'aureola innanzi alla gioventú. Già si nominavano Pepe, Carascosa, Colletta. Quando Giuseppe Poerio, reduce, perorò la sua prima causa, una folla enorme trasse a sentirlo. Si dicevi: "Andiamo a sentire il grande oratore"; ma sotto c'era la simpatia per l'uomo politico. Mi sta ancora innanzi, nella causa, credo, di Longobucco. Squassava la bianca chioma come un Giove, tutto gesti, tutto nella causa. Si facevano paragoni tra il suo fare concitato e la calma del Borelli, e l'uno i giovani giudicavano eloquente, l'altro facondo.
Io assistevo a queste dispute, invaso da un sentimento letterario, ch'era coperchio ai racconti del Ventuno e ai ricordi del Parlamento nazionale.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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