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      Sostenevo che l'importante era meno di scriver puro che di scriver proprio, ed al dogma della purità avevo sostituito il dogma della proprietà e della precisione. Volgendo l'attenzione piú al contenuto che alla forma, veniva capovolta la base della grammatica e della lingua, e si riusciva a opinioni assolutamente diverse dalle correnti. Lo spirito, concentrato nella parola o nella frase, si avvezzava a guardare di sotto, a cercare il pensiero, a preferire non la frase piú pura, ma la frase piú propria e piú esatta, che fosse, come dicevo io, lo specchio del pensiero. Perciò non mi piacevano i pleonasmi, i ripieni, le riempiture, le perifrasi, le circonlocuzioni, le parentesi, i lunghi e armoniosi giri dei periodo, l'abuso delle congiunzioni e delle inversioni. Tutto questo era roba da esser gittata a mare. Naturalmente la pratica non rispondeva per l'appunto alla teoria. Non era facile svezzarci da molte radicate abitudini, e bruciare oggi gl'idoli adorati ieri. Ne nasceva una disuguaglianza, non so che di grottesco: il vecchio uomo non era ancora cancellato, l'uomo nuovo non era ancora formato, e mal vivevano insieme. Cosí nella scuola i mercoledí erano puristi, e sentivi non di rado, nelle correzioni del marchese, il "perché", "conciossiaché", "manifesta cosa è"; nelle letture ti venivano all'orecchio molti riboboli e anticaglie, che avevano la loro condanna nella critica e nelle teorie. Il pensiero era libero; la pratica era ancora servile.
      Dotato d'una certa misura intellettuale, che non mi consentiva nessuna esagerazione, le mie novità erano in tali termini, che se non appagavano puristi e lassisti, neppure gl'irritavano.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249