Anche in mezzo alle astrazioni moltiplicavo gli esempli e le applicazioni, copioso d'immagini e di colori, non tanto per naturale inclinazione, quanto per sentimento e dovere di maestro. Io era un maestro nato, e quando vedevo nella faccia dei giovani un'aria impersuasa, girava e girava il pensiero, insino a che non vedeva su' loro volti quella luce ch'era nel mio intelletto. Dicevo spesso ai giovani, ch'io dovevo scendere fino a loro, per poterli innalzare sino a me. "Dunque, lettura e composizione, sissignore"; il marchese parlava a un convertito. Cosí camminavo e fantasticavo; poi mi veniva un riso, che la gente mi doveva prendere per pazzo, e dicevo tra me e me: "Ma, caro marchese, come ti viene il grillo di dirmi: Francesco, lasciami stare le teorie? E come si fa a cacciarle via queste teorie? Debbo forse smettere il mio corso sulla lingua? Questo ci vorría; i giovani mi lapiderebbero. Ma se queste teorie mi si sono ficcate nel cervello, debbo io cambiarmi il cervello?" Poi mi saliva la senapa al naso, pensando a quei birboni che volevano mettere zizzania tra me ed il marchese, e non mi facevo capace come potesse esservi gente di simil conio. Giunsi a casa, e mi gittai per morto sopra un sofà, stanco non del cammino, ma dei pensieri. Venuto piú tranquillo, m'intenerii molto, ché mi ricorse alla mente la paterna bontà del marchese, e mi proposi di star guardingo per non dispiacergli. E per qualche tempo mi chiusi la bocca, lasciando stare scrittori moderni e francesi, e seppellendomi fra i trecentisti.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Francesco
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