Le vedo imbiancate, ripulite, e vedo la via bene spazzata. "Manco male, - dissi; - qui c'è progresso". L'occhio da lontano afferrava già il portone numero 23. Mi ci fermo, e quell'entrata, dove sonarono già i miei clamori fanciulleschi, mi pare sporca e umida. Certi monelli cenciosi mi guardavano con un occhio interrogativo, come volessero dire: "Cosa vuole questo signore?" Mi fo un po' lontano, ed alzo un'occhiata su al terzo piano, e veggo una donnicciuola ingiallita, d'aspetto volgare e civettuolo, lí sul balcone dove io soleva declamare le ottave del Tasso. Mi pare proprio un insulto quella donna. Scendo ancora e do un'occhiata obliqua al numero 39, a sinistra, dove fui cosí spesso a visitare zia Marianna, con zio Carlo e Giovannino. "E dove sono ora?" Vengo in malinconia e rifò i miei passi, e m'imbocco per la strada Rosario a Porta Medina. Giunto al larghetto dove è posta la chiesa, mi batté il cuore, ché presso v'è la casa da me abitata. Entro risolutamente nel cortile e guardo la scalinata. "Cosa volete?" dice una vecchiarella. "Eh! niente. Qui ho abitato, piú di trent'anni or sono". "Gesummaria! - disse lei, come vedesse l'orco; - trent'anni!" "In questo caso, io dovrei ricordarmene, che sono antico di qua", disse un uomo grosso, cavandosi il berretto. "Sì? Ma io non mi ricordo di te, - diss'io. - Ti ricordi tu quando venivano qui tanti scolari?" Restando esso tra il sí ed il no, gli domandai: "Ma in che anno sei venuto tu qui?" "Signore, nel 1845". "E io ci fui nel 1841" "Eh! oh! eh!
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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