Parlai di Dino Compagni. Volevo mostrare ch'era un bon omo e cittadino probo e un gran cuore, ma inetto alle pubbliche faccende. Scorsi tutta la sua Cronaca, pigliando di qua e di là, frizzando, motteggiando e sfogando su di lui tutta la stizza che avevo in corpo. Non è che quelle idee mi venissero giú cosí all'improvviso; piú volte mi erano passate per il capo, ma quella sera le condensai, le colorii, fui eloquente. E quella lezione mi piacque tanto, che la ripetei l'anno appresso, cosa insolita, e me ne rimase memoria, e mezza la inserii nella mia Storia della letteratura. A sera tarda zio Peppe mi disse: "Passeggiamo?" "Sono stanco", risposi: parte verità, parte pretesto. Volevo star solo. Andavo qua e là nelle stanze, e i punti piú belli della lezione mi tornavano in mente, e si ficcavano tra le ombre della giornata: e fantasticando, mi trovavo spesso alla finestra, al balcone, tossendo, pestando dei piedi; e quella cameretta era sempre muta e oscura. "Sarà ita in collera", pensai, e mi rimproverai certe mie rozzezze, riandando quella passeggiata.
Cosí passò il dimani e il dí appresso. Quei balconcino deserto mi facea venire la stizza e fomentava il desiderio. La sera del mercoledí uscii soletto; mi attendeva zio Peppe tra una brigata di amici. Avevo appena voltato a destra, quando udii un pissi pissi. E una vecchia mi porse una carta, e via. Era un bigliettino profumato, che lessi al lume di un lampione. Diceva che lei era stata ammalata dalla collera, e ch'io m'era portato male, e che voleva vedermi, e mi dava posta per domenica alla stessa ora e nello stesso luogo.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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