Io non trovava miglior materia di discorso che le mie lezioni, e recitavo brani di poesia, e talora anche versi miei:
Cara, tu ben rammenti. In noi fu quasiIl vederci e l'amarci un solo istante.
Come, non so. Cosí musico suonoL'orecchio e il core in un sol tempo invade.
Ora che ci penso, quello non era che un amore d'immaginazione. Non mi distraeva, non mi turbava, anzi era uno sprone acuto che mi scaldava la fantasia e rendeva geniali le mie lezioni. Il buon successo mi esaltava, e pensavo alla domenica quando ne avrei parlato con lei. Avevo una certa giovialità interiore che mi rendeva piacevole il mio compito a scuola, soprattutto nel parlare improvviso, quando si esaminavano i componimenti. S'era già fatto un progresso; non si stava piú alla lingua e alla grammatica; si guardava allo stile e anche alla tessitura.
Una sera capitò a leggere un suo lavoro un giovinetto di quindici o sedici anni, un biondino, bassotto, facile ad arrossire, e si chiamava Agostino Magliani. Il marchese l'aveva caro, perché nel tradurre era corretto e castigato; e talora diceva scherzando: "Gracilino si, ma la cassa del petto è ben munita". Non aveva fatto ancora cosa che tirasse gli occhi sopra di lui. Quel suo lavoro era intitolato: La donna. Andava piano e soave, con pronunzia chiara, e si faceva sentire, tanto che si fece subito un gran silenzio, come nei momenti solenni. Finí tra le approvazioni.
Ecco una prima rivelazione
, diss'io: parola che poi spesso mi veniva sul labbro. E volevo dire che in quel lavoro s'era rivelato l'ingegno.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Agostino Magliani
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