Non volli interrogare nessuno, com'ero solito; ma parlai io subito. Il lavoro era di genere didascalico, come avrebbe detto il marchese. Il piccolo autore senza frasi e senza enfasi faceva le lodi della donna, con un discorso cosí chiaro e cosí bene ordito, ch'io potei riprodurne a memoria tutte le parti per filo e per segno. "Che memoria!" dissero i giovani maravigliati. E io di rimando: "Merito non mio, ma dell'autore, che ha fatto questa mirabile orditura, e s'è rivelato uomo d'ingegno". Il tema era bello; io ero in vena, e parlavo con quel mezzo riso sulle labbra, che esprime l'interna soddisfazione. Finii contento di me, tra gli applausi. Quella sera fu una festa.
La domenica era aspettatissima. Parlavo con lei de' miei successi, e m'esaltavo della mia stessa esaltazione. Venne un tempo che lei si annoiò di quella vita, voleva stringere un po' piú le cose. "Sono stanca, - diceva alcuna volta; - questo camminare cosí lungo mi toglie la lena; dovresti trovar modo che ci potessimo parlare senza tanto fastidio". "Vengo a casa tua". "Mia mamma non vorrebbe". "E chi è tua mamma?" "È una lavandaia", mi disse lei a bruciapelo e fissandomi. Io non mostrai sorpresa: questo le piacque. Dissi: "A casa tua no; a casa mia né tampoco". "E perché no?" "Se non ci fosse zio Peppe!" "Zio Peppe non è un orco". "No, no. Zio Peppe non vuole". Una sera, erano tre ore di notte. Zio Peppe s'era coricato e russava potentemente. L'uscio era socchiuso. Entrò lei, e io volevo menarla in salotto. "No", disse lei, resistendo.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Peppe Peppe Peppe Peppe
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