Quando poi si usciva dalle conversazioni e cominciava la lezione, io mi trasformavo addirittura. Avevo un concetto cosí alto della mia missione, che il mio magistero mi pareva un sacerdozio. Avevo gli occhi bassi, la mente in travaglio, insino a che, preso l'aíre, gli occhi s'illuminavano e la voce s'intonava. Tutto questo avveniva con tanta serietà e con tanta sincerità, che produceva una certa comunione delle anime, e non si sentiva un zitto. Questa era un'aureola che manteneva il mio prestigio, sí che bastava una voltata d'occhio per farmi ubbidire. Non mi ricordo mai che nessuno mi abbia risposto.
Ciascun uomo ha il suo ritornello. E il mio ritornello era il disprezzo del luogo comune e il disprezzo del plebeo. Il maggior dispiacere che potesse avere un giovane era il sentirsi a dire di qualche suo lavoro: "L'è un luogo comune". Ed era una trafittura quando si sentiva dire: "I sentimenti sono plebei". Questo dava una impronta singolare alla scuola. Si abborriva dal mediocre; si mirava alla eccellenza. Io era incontentabile; solevo dire: "Mi contento per ora", mostrando loro un piú alto segno. Dicevo che il vero ingegno non s'acqueta mai, e poggia sempre piú alto. Questo teneva in moto continuo l'intelletto, e lo sforzava a cose nuove. Qualcuno mi osservò che ponevo la mira troppo alta, ove non arrivavano che i pochi; ma non c'era verso, l'impulso era dato. Dotato di molta pazienza, mosso da un gran desiderio del bene, tentai un corso speciale per i meno provetti, ritornando alle cose grammaticali, e dettandone un sunto.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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