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      Quasi non v'era dí che, per un verso o per l'altro, non si parlasse di lui. Si recitavano i suoi Canti, tutti con uguale ammirazione; non c'era ancora un gusto cosí squisito da fare distinzioni; e poi, ci sarebbe parsa una irriverenza. Eravamo non critici, ma idolatri. Le canzoni patriottiche ci parevano miracoli di genio, ci aggiungevamo i nostri sottintesi. Quelle Silvie e quelle Nerine ci rapivano nei cieli, quel Canto del pastore errante ci percoteva di stupore. Una sola poesia non fu potuta digerire; né io né alcuno la potemmo leggere dall'un capo all'altro: I Paralipomeni. Anche la Batracomiomachia ci pesava. Vennero molti di fuori a sentire le mie lezioni sopra Leopardi, nome popolare in Napoli. Io lo chiamai il primo poeta d'Italia dopo Dante. Trovavo in lui una profondità di concepire e una verità di sentimento, di cui troppo scarso vestigio è nei nostri poeti. Lo giudicai voce del secolo piú che interprete del sentimento nazionale, una di quelle voci eterne che segnano a grandi intervalli la storia dei mondo. Esaminando il suo concetto, m'incontrai con Byron, che fece trionfale ingresso nella scuola, argomento prediletto di molti lavori. In quell'onda d'inganni e di disinganni, di aspirazioni e di disperazioni, cercai un capo saldo che mi desse il filo; e ne venne un ordine delle poesie, secondo le gradazioni dei suo concetto. Vedevo il suo pensiero svolgersi, a poco a poco, sino alla negazione universale, e anche in quello, a poco a poco, volli ficcare il naso, determinando le gradazioni e i passaggi.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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