Voltai le spalle e andai via sbuffando. Narrai il caso, e la compagnia si mise a far peggio, quasi a dispetto. Allora mi sentii chiamare in ufficio per "esibire il permesso della scuola". Questo mi impensierí. Io non avevo laurea né permesso, ero nel caso di quasi tutti i maestri, non perché la legge non ci fosse, ma per una cert'abitudine di tolleranza, che lasciava correre le cose. Capii onde veniva il tiro: quel signore lí non mi avrebbe lasciato piú quieto. Avrei potuto accopparlo, perché il prefetto di polizia aveva non so quale parentela con la famiglia Amante, a me affezionata, e poi c'era il marchese. I ballerini mi aizzavano, e qualche brutta idea di vendetta mi tentò un momento; ma la mia natura mite rifuggiva dalle soverchierie, e cercai un altro modo. Me ne aprii con un tale Albanesi, che faceva gli affari del mio padrone di casa. Costui sorrise del mio imbarazzo e della mia inesperienza, e disse che lasciassi fare a lui, e stessi tranquillo, che del permesso non si sarebbe parlato piú. Poi in tuono paterno aggiunse: "Ballate pure, ma in ogni cosa c'è modo". Non so che via tenne. L'effetto fu che quel signore, una volta che scendevo, si fe' trovare sull'uscio di casa, e mi tese la mano, e mi si profferse, dichiarandosi mio buon vicino, stimandomi un giovane dabbene, di cui aveva inteso a far molta lode. Io interrompeva e cercavo di venire al quatenus; ma lui fece un gesto con la mano, come volesse dire: "Al passato non ci si pensa piú". La parte d'uomo di spirito la fece lui, io feci la parte goffa.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Amante Albanesi
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