Faceva crocchio intorno a sé e, come si direbbe oggi, posava. Gli occhi delle signorine erano sopra di lui. Vestiva con eleganza, profumato, con la chioma ben pettinata. Io lo guardavo incantato. Uso a stare cosí alla buona e alla naturale, semplice di parola e di modi, mi sentivo piccolo dirimpetto a lui; mi pareva una divinità, ma, come dissi poi ai giovani col mio linguaggio scolastico, un tipo di eleganza un po' manierata. Si fece un po' di conversazione. Tra quella gente lambiccata io ero una figura insignificante, stavo tra la folla, non facevo spicco e nessuno mi badava.
Poco fatto alla conversazione, sgraziato e confuso in tutti quegli usi convenzionali di una società elegante, stavo piú volentieri a guardare le vicende del gioco, senza capirci un ette. Conoscevo un po' la scopa e lo scopone; ma non capii mai il mercante, che si giocava in casa dello zio, e tanto meno il mediatore e la calabresella, che non avevo visto mai. Pure, a forza di guardare, ci capii un poco. Una sera si giocava il mediatore, e mancava il quarto. Pisanelli mi fece ressa, perché il quarto foss'io, e per cortesia presi posto. Gioca e gioca, perdevo sempre, il piattino era tutto pieno. "Che bella cosa una sola ora!"; disse Pisanelli, guardando il piattino. "Sola!", gridai io, e Pisanelli gettò gli occhi sulle carte. "Sola!, temerario", notò lui, con quella sua aria di maestro che m'imponeva. Io non potei tirarmi indietro, ancorché tutti dicessero: "Riflettete!" Il mio amor proprio m'incapricciava.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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Pisanelli Pisanelli
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