La scuola tenne fermo; pure c'era non so quale inquietudine, un desiderio di cose nuove. Si gittarono sulla letteratura francese: sentivo disputare di madame de Staël, di Chateaubriand, di Victor Hugo, di Lamartine. Io mi mescolavo nella conversazione, e mi davo a quelle letture con pari avidità, scolaro tra gli scolari. Non posso riafferrare piú le mie impressioni. Rammento solo di lord Byron, che mi atterrí. Tutto mi pareva gigantesco: situazione, azione, caratteri, affetti. Quella profondità d'odio e d'amore, quella forza portata all'ultima sua espressione, quella eloquenza terribile di passioni indomite, smisurate, mi parve come la scoperta di un mondo nuovo, abitato da una razza superiore di umani.
Un sabato che ci capitò il marchese, Agostino Magliani lesse una novella. Descrizioni, favole, racconti, epistole, dialoghi, discorsi erano i soliti generi di composizione; ma la novella era il genere favorito. Intorno al modo di condurre la novella c'era un codice prestabilito, divenuto convenzionale. C'erano le regole intorno alla preparazione, alla favola, allo snodamento, alla catastrofe, ai caratteri, agli affetti: regole che risalivano fino ai primi tempi della scuola del Puoti. Per lo piú le novelle erano fatte sullo stampo boccaccevole; il marchese richiedeva semplicità nell'intrigo, e naturalezza negli affetti. Il sugo era che, sotto il liscio di periodi misurati e rotondi, c'era superficialità d'immagini e di sentimenti. E questo è bene, come esercizio di scrivere per giovani poco provetti, ai quali manca esperienza della vita e del cuore umano, per guardare piú addentro.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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