Pochi anni piú tardi ero pieno di molte opinioni apprese nella scuola del Puoti, e ancora piú nelle rettoriche e poetiche dal Cinquecento in poi. Il discorso del Tasso sul poema epico era per me un oracolo; mi piaceva anche la Perfetta poesia del Muratori, leggevo le opere del Castelvetro, e mi stillavo il cervello in quelle sottigliezze. Pure ressi alla fatica, e v'imparai molti fatti peregrini, grammaticali e poetici. La Ragion Poetica del Gravina mi parve un avvenimento, per novità e finezza di osservazioni e per chiarezza di esposizione, che mi dava quasi una illusione di posatezza e coerenza scientifica. Il marchese lo ammirava molto, e finalmente trasfuse in me la sua ammirazione. Poi mi vennero a mano le polemiche sull'unità di tempo e di luogo, e lessi con avidità i giudizi di Pietro Metastasio, il cui fare libero e spregiudicato mi piaceva: ma studiavo di occultare questa mia impressione al marchese, al quale Metastasio era antipatico. Anche celatamente divorai le opere del Bettinelli, dell'Algarotti, del Baretti, del Cesarotti, scrittori barbari al dir del marchese, ma ne' quali sentivo piú piacere che in que' faticosi cinquecentisti. Al contrario non mi fu possibile leggere sino alla fine il Napione e il Perticari, cosí cari al marchese. Tirai fino a Vincenzo Monti, le cui polemiche con la Crusca mi riuscirono gustose. Queste letture avevano prodotto un guazzabuglio nella mia mente. Molte opinioni e pregiudizi furono scossi, ma non cancellati.
Cominciò in me l'età benefica del dubbio e dell'esame.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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