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      Il progresso naturale del mio spirito, e piú che altro la mia abitudine alla meditazione, il non fissarmi in alcuno scrittore, e il pensare da me, mutarono in gran parte le mie impressioni e i miei giudizi. Sentivo nelle sottigliezze del Castelvetro il lambiccato e il falso, e nella gravità del Gravina il presuntuoso e il pedantesco. Nelle opere spigliate o scorrette del Metastasio, del Bettinelli, del Monti sentivo leggerezza e superficialità, con un odore talvolta di ciarlataneria. Quando cominciò la mia scuola, mi capitarono le critiche del Galilei sulla Gerusalemme Liberata. Alcune mi parvero stiracchiate; ma in altre trovai garbo e buon senso piú che in nessun altro nostro scrittore, e capii l'eccellenza dell'Ariosto sopra i suoi precursori e imitatori, e sopra il Tasso. Fino a quel tempo leggevo l'Ariosto come un poeta piacevole nella sua stranezza, e non ci avevo mai pensato sopra, e talora mi domandavo, maravigliato, in che fosse superiore all'Amadigi o all'Orlando innammorato, ch'io leggevo con ugual piacere, e perché molti lo ponessero innanzi al Tasso, delizia dei miei primi anni e modello di perfezione agli occhi miei. Basti dire che sapevo a memoria dal primo all'ultimo verso la Gerusalemme, e dell'Orlando furioso appena alcuni brani mi rimanevano impressi. Debbo al Galilei un concetto piú sano e piú preciso dello scrivere poetico.
      Questo era lo stato del mio spirito, quando diedi principio alle mie lezioni. Intorno a me si aggirava il rumore delle vecchie opinioni.


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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249

   





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