Posso dire che la mia Francesca da Rimini mi uscí tutta di un getto in due giorni, e fu l'eco geniale di queste reminiscenze scolastiche. È inutile aggiungere che queste lezioni novissime sulla Divina Commedia destarono vivo entusiasmo. I sunti, fatti da' miei discepoli e rimastimi, ne rendono una immagine pallidissima e, come dice Dante, "fioca al concetto".
Originali furono pure le mie lezioni sull'Orlando furioso. Analizzando le qualità di quel contenuto cavalleresco, ne dedussi che quello che la turba chiamava disordine era ordine, e quello che la turba chiamava irregolarità era regola. Tirai da quel contenuto la situazione e la forma di quella vasta varietà; e, posta quella situazione, trovavo regolare quella pluralità di azioni, che a' piú sembrava un peccato mortale. Confutai le argomentazioni del Tasso nel suo Discorso sul poema epico, e chiamai lo scrittore un gran poeta e un mediocre critico. Questo mi tirò addosso una tempesta. Stefano Cusani, Giambattista Ajello, soprattutto Stanislao Gatti, dal piglio impertinente e ironico, me ne vollero, quasi avessi profferita una bestemmia. Non potevo patire che il Tasso chiamasse l'Orlando furioso un poema senza principio e senza fine, e ci sentivo quella pedanteria che lo condusse alla Gerusalemme conquistata. La controversia s'infuocò, e finí con un distinguo, ammettendo io che il Tasso era un critico valoroso secondo que' tempi.
In quella varietà ariostesca mostrai che avevano la lor parte legittima il licenzioso ed il ridicolo, dato sempre quel contenuto e quella situazione.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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