Questo fu materia di parecchie lezioni. E mi ci scaldai tanto che, dovendo padre Juppa, mio discepolo e uomo serafico per mansuetudine e innocenza di costumi, fare una predica su' benefizii del Cristianesimo, volli fargliela io medesimo, e riuscí un bello e dotto panegirico, molto lodato. Mostrai quanta potenza l'idea cristiana ebbe nello spirito di Dante, e come la Divina Commedia fosse appunto la storia ideale del Cristianesimo. Da questo desunsi i caratteri del contenuto, che il Tasso avea scelto per argomento. Ma il Tasso non si obbliò in esso, e non lo fece suo, come Dante fece nella Divina Commedia, e come fece l'Ariosto nell' Orlando furioso. Il Tasso non vi entrò con animo libero, e portò seco appresso le regole di Aristotile e la voga cavalleresca. Cresciuto in mezzo a' retori, che si vantavano critici, volle fare un poema secondo le regole, e, scegliendo una materia nuova, volle innestarvi la parte cavalleresca. Voleva in somma conciliare Omero e l'Ariosto, fare un Ariosto corretto e regolare, piú conforme alle leggi del verisimile e al senso storico. Fu punito, perché trovò critici piú severi di lui, che accusarono il poema di scorrezione, e non lo trovarono né omerico, né aristotelico. La parte cavalleresca fu trovata una intrusione e una dissonanza in argomento sacro, e si aggiunse che, diminuendo le proporzioni di quella fantastica cavalleria, per ridurle piú vicine al probabile, immeschiní la materia, senza farla piú corretta. Cosí avvenne che parecchi gli preposero per regolarità il Trissino, e, quanto alla cavalleria, l'Ariosto gli rimase al di sopra.
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La Giovinezza
Frammento autobiografico
di Francesco De Sanctis
pagine 249 |
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